“Nei punti dove i guerrieri longobardi si stanziavano nella loro occupazione sorsero delle cappelle: si può pensare che S. Martino e S. Agata e forse anche S. Dionigi sorgessero in questi momenti, mostrandosi dedicazioni particolarmente utili a stimolare la fantasia guerriera, il culto della maternità ed insieme i simboli della vera fede cristiana.” (A. Borghi, 1981).
“Nel contempo il territorio era stato infeudato a partire dal 1485 al consigliere ducale conte Dal Verme, poi a Chiara Sforza e al figlio Paolo Fregoso e infine agli Sfrondati che ebbero pure la Riviera, ma eressero il Monte Introzzo in Signoria. La Valsassina passò invece nel 1647 ai conti Monti, particolarmente in seguito avversati”. (A. Borghi, 1981).
Introzzo deriva molto probabilmente da “Introgium”, una tassa di soggiorno che i forestieri dovevano pagare per tutta la durata del loro soggiorno nel borgo.
Nel medioevo Introzzo faceva parte, insieme agli altri paesi della valle Tremenico, Sueglio e Vestreno, della Comunità di Mont’Introzzo.
Le lotte fra Guelfi e Ghibellini condussero, attorno al dodicesimo secolo, al nascere delle “libere comunità” che suggellarono le preesistenti forme dei “beni comuni”.
Nel 1388 la Comunità di Mont’Introzzo fu soggetta agli Statuti della Valsassina. Le antiche consuetudini vennero rese giuridiche dagli Statuti di cui si conservano ancora quelli della “Valsassina”, di “Bellano” e di “Dervio.
Strutture difensive e tipologie castellane erano frequenti tra Medio Evo e Rinascimento nel territorio del Mont’Introzzo in corrispondenza, soprattutto, del “Sentiero del Viandante”, nei punti strategici di controllo della valle. Fra queste il castello di Dervio, Castelvedero (da “Castel vecchio), la Torre di guardia di Avano (non più esistente).
“Nei primi mesi della Repubblica Cisalpina il Legnone dava il nome ad un dipartimento chiamato della Montagna, il cui capoluogo era Lecco”. (Dizionario Corografico dell’Italia, 1854).
“La Valsassina comprende il distretto d’Introbbio che ha 27 comuni, occupa la superficie di 68 miglia quadrate, sulle quali passeggiano 12,233 persone, ed ha l’estimo di scudi 308,684”. (E. Frusoni,1903).
“La maggiore ricchezza pare consistesse nei boschi, ben presto però tagliati per fare carbone a servizio delle fucine, così che già nel XVII secolo era necessario portare carbone dalle vicine valli. Erano così scomparsi i boschi di larici ed abeti che Leonardo stesso ricorda e che erano il soggetto più interessante della proprietà comune”. (A. Borghi, 1981).
Il sistema, che raggiungeva i Roccoli di Lorla, costituiva il punto di forza di un sistema difensivo più complesso che aveva origine in Val d’Ossola e proseguiva fino alla linea delle Alpi Orobiche.
Nel 1917 i Generali Fajalle e Cadorna pensarono di utilizzare la linea Cadorna in funzione di difesa contro un’occupazione della Confederazione e un’eventuale invasione tedesca.
I lavori della “Cadorna” furono ufficialmente iniziati nel maggio del 1916 e si protrassero per tutta la durata del conflitto. I lavori erano condotti sia da personale militare che da imprese civili sotto la direzione del Genio del Regio Esercito.
Tutto il sistema era collegato da trincee e camminamenti, oltre che da gallerie che comunicavano con le diverse postazioni nodali, permettendo così al personale militare di muoversi al coperto.
Si fece anche grande uso di manodopera locale, poco pagata, ma ben lieta di evitare l’impegno diretto al fronte. Purtroppo quest’ultima speranza cadde per molti con la sconfitta di Caporetto, allorché, per reggere all’urto delle armate austro-ungariche, furono richiamati tutti i soldati al fronte.
Nell’area lariana la linea di difesa preventiva e d’appoggio, approntata secondo un piano dettagliato dello Stato Maggiore italiano del 1912-14, non fu mai utilizzata.
La linea difensiva di trincee si affacciava come un balcone direttamente sul Pian di Spagna e il tratto terminale della Valtellina (foce dell’Adda).